L'Impatto della Mini Riforma della Giustizia sulle Imprese
Data di pubblicazione |
23/03/2015
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23 marzo 2015
Abbatescianni Studio Legale e Tributario ha organizzato, in collaborazione con l'AIGI (Associazione Italiana Giuristi di Impresa), presso l'Unione Industriale di Torino, un seminario sul tema dell'impatto della mini riforma della giustizia sulle imprese.
Nel corso dell'evento sono stati approfondite le fattispecie introdotte e/o modificate dal decreto legge 132/2014 e dalla legge di conversione 162/2014 e sono stati trattati i seguenti argomenti: (i) modifica al regime della compensazione delle spese, (ii) passaggio dal rito ordinario al rito sommario, (iii) ritardo nei pagamenti, (iv) l’esecuzione, (v) conciliazione con l’assistenza degli avvocati, (vi) decisioni delle cause pendenti mediante il trasferimento in sede arbitrale forense.
Hanno partecipato all’evento, in qualità di relatori, l’avvocato Marco Pistis e l’avvocato Vincenzo Lena.
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Il decreto legge 10 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni in legge 10 novembre 2014 n. 162 ed entrato in vigore l’11 novembre 2014, ha introdotto alcune misure di degiurisdizionalizzazione atte alla definizione dell'arretrato in materia di processo civile.
Istituti presentati nel corso del seminario:
- Il regime della compensazione delle spese;
- Il Passaggio dal rito ordinario al rito sommario;
- Il Ritardo nei pagamenti;
- L’esecuzione;
- La conciliazione con l’assistenza degli avvocati;
- La decisione delle cause pendenti mediante il trasferimento in sede arbitrale forense.
1. Il regime della compensazione delle spese.
Il disposto dell’articolo 92 c.p.c. viene modificato al secondo comma con la previsione che “se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.
La ratio della novella è quella “di disincentivare l’abuso del processo”.
Il legislatore ha voluto nuovamente limitare la facoltà del giudice di compensare le spese di lite, visto che nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni, nella pratica si continuava a fare larghissimo uso del potere discrezionale di compensazione delle spese processuali, con conseguente incentivo alla lite, posto che la soccombenza non veniva giustamente penalizzata.
Fino alla riforma del 2005 i "giusti motivi" idonei alla compensazione erano stati, infatti, intesi dalla giurisprudenza alla stregua di un potere rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, perfino senza necessità di motivazione, tesi sconfessata soltanto con dalle Sezioni Unite con la sent. n. 20598/2008.
Perciò, l’art. 2, co. 1, lett. a), della l. 28 dicembre 2005, n. 263, aveva sancito che i suddetti motivi dovessero essere "esplicitamente indicati nella motivazione".
L’art. 45 della l. 18 giugno 2009, n. 69, ha poi sostituito questa espressione, prevedendo la possibilità di compensazione solo allorché concorrano e siano specificate in motivazione "gravi ed eccezionali ragioni".
Anche questa limitazione è parsa insufficiente al legislatore, che ha ulteriormente ristretto la possibilità di compensare le spese di lite.
Ora, con le ultime modifiche, oltre che nell’ipotesi di soccombenza reciproca, il potere di cui al comma 2 dell’art. 92 potrà, infatti, essere esercitato solo "nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti".
Si evidenzia che l’aggettivo “assoluta” e la precisazione che il mutamento giurisprudenziale deve concernere i punti decisivi, sono stati inseriti in sede di conversione del D.L. n. 132/2014.
Si evidenzia tuttavia come, nei confronti del litigante ostinato, non sia credibile un effetto deterrente della versione finale di questa norma maggiore rispetto alla versione del 2009 (vedi: Nuove riforme per il processo civile: il d.l. n. 132/2014 – a cura di Antonio Carratta e Pasquale D’ascola).
Più convincente sembra l’idea che si sia voluto stroncare il costume, diffuso nelle commissioni tributarie, di compensare le spese di lite in considerazione della complessità della legislazione fiscale e della opinabilità delle questioni.
E’ facile prevedere che maggiore oggetto di approfondimento sarà d’ora in poi il tema della "soccombenza reciproca", restando dubbio se si possa configurare tale ipotesi allorché vi sia stato accoglimento parziale, sotto il profilo meramente quantitativo, riguardante una domanda articolata in unico capo.
2. Il Passaggio dal rito ordinario al rito sommario.
La riforma ha introdotto ex novo l’articolo 183 bis (Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione) che recita:
“Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudice nell'udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria, può disporre, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda a norma dell'articolo 702-ter e invita le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria. Se richiesto, può fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a quindici giorni per l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e termine perentorio di ulteriori dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria”
L’intervento è volto a consentire, per le cause meno complesse e per la cui decisione è idonea un’istruttoria semplice, il passaggio d’ufficio, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, dal rito ordinario di cognizione al rito sommario.
I primi commenti della dottrina non sono positivi (vedi: Nuove riforme per il processo civile: il d.l. n. 132/2014 – a cura di Antonio Carratta e Pasquale D’ascola) in quanto il meccanismo introdotto finisce con il riprodurre il meccanismo ordinario, salvo una modesta accelerazione della tempistica.
La norma vuol consentire, per i processi instaurati dopo trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del d.l., il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, procedimento coniato nel 2009, che vive di alterne fortune sul territorio nazionale.
Poiché il rito sommario è caratterizzato dalla essenzialità delle forme, è da ritenere che la trasformazione in senso sommario sia possibile solo nei processi più semplici. Non a caso il giudice può darvi corso "valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria".
L’ordinanza di mutamento di rito va disposta all’udienza di trattazione, che coincide con la prima udienza; essa dovrebbe servire sostanzialmente a evitare il triplo scambio di scritti difensivi possibile ai sensi dell’art. 183, 6° co., c.p.c.
Tuttavia, la singolare possibilità accordata alle parti di interloquire con memoria scritta sull’opportunità di convertire il rito e, successivamente, il potere-dovere del giudice di accordare loro un termine per deposito di memorie e documenti, con repliche a prova contraria, finisce con il riprodurre il meccanismo ordinario, salvo una modesta accelerazione della tempistica.
Infatti non manca nel codice la possibilità di una decisione rapida, mediante la rimessione a precisazione delle conclusioni quando la causa è matura per la decisione senza bisogno di assunzione dei mezzi di prova (art. 187, co. 1) e mediante la decisione a seguito di trattazione orale ex art. 281 sexies.
La flessibilità era quindi già patrimonio del rito ordinario. Questa ulteriore possibilità di sommarizzazione non dovrebbe incontrare troppa fortuna, per l’elementare motivo che il problema maggiore nella gestione dei tempi del processo è costituito sempre dalla necessità di studiare approfonditamente le questioni da decidere, a prescindere dalla sommarietà dell’istruzione e della trattazione.
Assai "oscura" è poi la previsione della possibilità per il giudice di fissare una nuova udienza e concedere alle parti i termini perentori per lo scambio di una memoria per le prove dirette ed una per le prove contrarie. Non si comprende, dal testo legislativo, se la concessione delle memorie è necessariamente legata alla fissazione di nuova udienza, oppure se possa avvenire anche all'esito di quella stessa udienza ex art. 183 in cui viene disposto il mutamento di rito; né a quali incombenti esattamente sarebbe destinata la nuova udienza che potrà essere fissata (e ferma comunque la inopportunità di una nuova udienza - magari a distanza di vari mesi - che in concreto potrebbe ridursi a mera comparizione dei difensori per sentirsi assegnare i termini per le due memorie istruttorie).
Inoltre i difensori "prudenti" dovranno presentarsi all'udienza ex art. 183 con già "in tasca" le istanze di prova costituenda ed i documenti necessari all'istruzione della causa: la disposizione, infatti, consente al giudice di chiedere ai difensori di indicare i mezzi di prova di cui intendono avvalersi già nel corso dell'udienza di trattazione ex art. 183, in un momento in cui ancora potrebbe non essere ben chiaro al difensore quali prove si rendano davvero necessarie (che molto dipendono anche dal comportamento di non contestazione dell'avversario, che si renderà evidente nella I memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.), e quali ha, in concreto, a disposizione.
Il rischio di decadenze - certo non sempre "rimproverabili", ma comunque "imputabili" e dunque inidonee a consentire la rimessione in termini - è assai elevato.
Quanto alla formulazione di prova contraria (magari costituenda) "in presa diretta", essa è a dir poco diabolica. Senza contare poi che lo strumento così predisposto risulterà difficilmente utilizzabile anche per il giudicante: l'atto di citazione e la comparsa di risposta non devono necessariamente contenere l'indicazione dei mezzi di prova di cui la parte vorrà avvalersi, sì che non sempre il giudice potrà valutare se la causa necessiti di una istruzione secondo le forme piane e distese del rito ordinario, o ad essa possano bene attagliarsi le forme del rito sommario. (Cfr. Leggi d’Italia – dottrina - 4. I defatiganti interventi minimi, nondimeno molesti, sui Libri I e II del codice di rito: l'art. 183- bis)
3. Il Ritardo nei pagamenti.
L’articolo 1284 c.c. è stato modificato con l’introduzione di un nuovo comma che recita: “Se le parti non ne hanno determinato la misura, da quando ha inizio un procedimento di cognizione il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. La disposizione del quarto comma si applica anche all’atto con cui si promuove il procedimento arbitrale.”
Il testo del presente comma, prima della conversione in legge del D.L. n. 132/2014, era il seguente: "Se le parti non ne hanno determinato la misura, da quando ha inizio un procedimento di cognizione il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.".
Tale previsione, in mancanza di determinazione convenzionale del saggio, eleva la misura degli interessi legali sui crediti litigiosi parificandolo a quello previsto dalla legislazione speciale in materia di ritardo nei pagamenti delle transazioni giudiziali. Per il semestre 1° luglio – 31 dicembre 2014 lo stesso è stato pari all'8,15% (come si evince dal Comunicato del Ministero dell’Economia e delle Finanze pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 167/2014) . In sede di conversione è stata specificata la decorrenza di tali interessi «dal momento di introduzione della domanda giudiziale» ovvero dalla pendenza della lite, come individuata dall’art. 39 c.p.c. Anche questa disposizione è destinata ad entrare in vigore decorsi 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione.
4. L’esecuzione.
In merito all’istituto dell’esecuzione le novità, tra l’altro, riguardano:
Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare, mediante l’introduzione del nuovo articolo 492 bis c.p.c..
Per quanto riguarda la possibilità che venga effettuata una vera e propria indagine patrimoniale sul debitore, funzionale a individuare i beni da sottoporre a pignoramento, il nuovo art. 492 bis c.p.c. prevede che, su istanza del creditore procedente, il Presidente del Tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, verificato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, possa autorizzare la ricerca con modalità telematiche.
Con tale autorizzazione il Presidente del Tribunale o un giudice da lui delegato dispone che l’ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle Pubbliche Amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico e in quelle degli enti previdenziali, "per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti". Al termine delle operazioni di consultazione delle banche dati, l’ufficiale giudiziario redige un unico processo verbale nel quale indica tutte le banche dati interrogate e gli esiti della consultazione.
In caso di esito fruttuoso della ricerca, l’ufficiale giudiziario procede al pignoramento con modalità differenti a seconda dei beni rinvenuti. Nel caso gli stessi non si trovino in luoghi rientranti nella sua competenza sarà il creditore, debitamente informato, a doversi attivare presso l’ufficiale giudiziario competente.
L’intervento in materia di ricerca dei beni da pignorare è volto a migliorare l’efficienza dei procedimenti di esecuzione mobiliare presso il debitore e presso terzi in linea con i sistemi ordinamentali di altri Paesi europei. La strada seguita è quella dell’implementazione dei poteri di ricerca dei beni dell’ufficiale giudiziario, colmando l’asimmetria informativa esistente tra i creditori e il debitore in merito agli assetti patrimoniali appartenenti a quest’ultimo.
Infruttuosità dell’esecuzione, mediante l’introduzione dell’ 164-bis disp. att. c.p.c..
Il nuovo art. 164 bis disp. att. c.p.c. prevede che si proceda (anche d’ufficio) alla chiusura anticipata del processo esecutivo, quando risulti "che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo". L’obiettivo è di evitare di tenere in vita processi esecutivi, che, per varie ragioni obiettive, si rivelino di scarsa utilità per i creditori, i quali, però, sarebbero costretti, di fatto, a subire la chiusura «anticipata» disposta dal giudice dell’esecuzione sulla base della sua valutazione discrezionale e il conseguente venir meno degli effetti del pignoramento.
Nella valutazione concreta di tale fattispecie di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità si terrà conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo.
Entrambe le nuove disposizioni si applicano solo ai processi esecutivi iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del D.L.
5. La conciliazione con l’assistenza degli avvocati.
Nella direzione di incrementare, attraverso il coinvolgimento dell’Avvocatura, le procedure di risoluzione delle controversie alternative al processo davanti ai giudici statali, con il chiaro obiettivo di ridurre il carico di lavoro di questi ultimi, si muove anche la nuova «procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati», la quale se normalmente si fonda su una scelta volontaria delle parti, che stipulano un’apposita convenzione (art. 2), in alcune specifiche ipotesi essa costituisce una vera e propria condizione di procedibilità della domanda giudiziale (art. 3).
L’articolo 2 della legge di conversione del 10 novembre 2014 n. 162, prevede la convenzione di negoziazione assistita da uno o piu' avvocati che e' costituita da un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealta' per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96. Tale convenzione deve essere redatta in forma scritta a pena di nullità.
La convenzione deve precisare:
- il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo delle parti;
- l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili o vertere in materia di diritto del lavoro.
In alcune specifiche ipotesi la "negoziazione assistita" è prevista come condizione di procedibilità, assumendo, di fatto, la stessa funzione del preventivo esperimento della procedura di mediazione di cui all’art. 5, co. 1 bis, del d.lgs. 28/2010 (come si evince, indirettamente, dal 1° co. dell’art. 3).
La relativa eccezione può essere sollevata, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza. Di conseguenza il giudice assegnerà un termine di 15 giorni per la comunicazione dell’invito e l’udienza successiva non prima di un mese (rinvio all’art. 2, comma 3). Un uguale rinvio sarà concesso in caso la procedura sia sì cominciata ma non conclusa.
L’esperimento della procedura non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale.
La condizione di procedibilità si intende comunque avverata «se l'invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il periodo di tempo» fissato dalle parti.
L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale:
- per le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti;
- per le controversie aventi ad oggetto una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro (fuori dai casi della mediazione obbligatoria).
Tuttavia, la previsione va interpretata unitamente alle diverse clausole di specialità contemplate dal medesimo art. 3. In particolare, riguardo alle azioni di condanna, il comma 1 fa salve le previsioni dell’art. 5, comma 1-bis del d.lgs. n. 28/2010, ossia quelle collegate a materie per le quali debba obbligatoriamente esperirsi il procedimento di mediazione. La medesima diposizione sancisce l’esclusione delle «controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori».
Vanno, poi, escluse dal novero tutte le controversie in cui la parte può stare in giudizio personalmente (comma 7).
L’esperimento della negoziazione non è necessario:
- nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione;
- nei procedimenti di CTU preventiva ex art. 696-bis c.p.c.;
- nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
- nei procedimenti in camera di consiglio;
- nell’azione civile esercitata nel processo penale.
Le parti devono individuare la durata massima della procedura, la quale non può essere inferiore ad un mese né superiore tre mesi, termine prorogabile su intesa delle parti per ulteriori trenta giorni (art. 2, comma 2, lett. b).
La soluzione negoziale della lite raggiunta deve essere conclusa in forma scritta; gli avvocati la sottoscrivono, ne garantiscono la conformità «alle norme imperative ed all’ordine pubblico» e certificano le sottoscrizioni apposte dalle parti sotto la propria responsabilità. L’accordo concluso costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione della ipoteca giudiziale senza bisogno di alcun procedimento di omologazione giudiziaria (art. 5).
La disposizione descritta è destinata ad entrare in vigore decorsi 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione (art. 3, comma 8).
Obblighi, doveri deontologici e garanzie dell’avvocato.
Le disposizioni del Capo II introducono tre prescrizioni deontologiche per gli avvocati:
- "informare il cliente all'atto del conferimento dell'incarico della possibilità (n.d.r.: o dell’obbligo) di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita" (art. 2, comma 7);
- "comportarsi con lealtà e di tenere riservate le informazioni ricevute" (art. 9, comma 4-bis);
- il divieto di assistere la parte nell’impugnare l’accordo alla cui redazione si è partecipato (art. 5, comma 4).
L’art. 9 prevede un’incompatibilità tra l’aver assistito le parti nel corso della procedura di negoziazione assistita e l’ufficio di arbitro in relazione a controversie aventi il medesimo oggetto od oggetto connesso.
Gli avvocati (come pure le parti e chiunque partecipi al procedimento) non possono essere chiamati a testimoniare sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso della procedura e ai medesimi si applicano le norme sul segreto professionale (art. 200 c.p.p.) e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili (garanzie di libertà del difensore).
L’avvocato è altresì esentato dagli obblighi di segnalazione previsti dalla normativa antiriciclaggio (d.lgs. n. 231/2007) con riferimento alle informazioni che riceve dall’assistito od ottiene riguardo allo stesso nel corso della procedura (art. 10). La previsione appare in linea con quanto a suo tempo osservato circa la cd. esimente dell’esame della posizione giuridica del cliente dall’obbligo di segnalazione, il cui ambito materiale corrisponde all’intera area della consulenza ed assistenza legale stragiudiziale.
L’art. 11 prevede che gli avvocati trasmettano al COA (di sede nel luogo di raggiungimento dell’accordo) gli accordi di negoziazione conclusi.
Spetta al Consiglio nazionale forense provvedere al monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita, sulla base dei dati forniti dai Consigli dell’ordine, e trasmettere i relativi dati al Ministero della giustizia.
Di conseguenza, il Ministro della giustizia trasmetterà alle Camere, con cadenza annuale, una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di negoziazione assistita distinguendo i dati per tipologia di controversia, unitamente ai dati relativi alle controversie iscritte a ruolo nell'anno di riferimento, a loro volta distinti per tipologia (art. 11, comma 2-bis).
6. La decisione delle cause pendenti mediante il trasferimento in sede arbitrale forense.
Il Capo I del d.l. n. 132/2014 contiene disposizioni che riguardano la possibilità il trasferimento in sede arbitrale delle cause pendenti davanti al Tribunale (in composizione monocratica o collegiale; davanti alle sezioni ordinarie o a quelle specializzate) o in grado d’appello (davanti al Tribunale o alla Corte d’appello) e no assunte in decisione al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione (13 settembre 2014). Ciò evidentemente al fine di ridurre (o meglio: sperare di ridurre) l’«arretrato» esistente, ovvero le cause pendenti davanti ai giudici statali
L’articolo 1 della legge di conversione del 10 novembre 2014 n. 162, prevede che nelle cause civili dinanzi al tribunale o in grado d'appello pendenti alla data di entrata in vigore del decreto, che non hanno ad oggetto diritti indisponibili e che non vertono in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale, nelle quali la causa non e' stata assunta in decisione, le parti, con istanza congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile.
Tale facolta' e' consentita altresi' nelle cause vertenti su diritti che abbiano nel contratto collettivo di lavoro la propria fonte esclusiva, quando il contratto stesso abbia previsto e disciplinato la soluzione arbitrale. Per le controversie di valore non superiore a 50.000 euro in materia di responsabilita' extracontrattuale o aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, nei casi in cui sia parte del giudizio una pubblica amministrazione, il consenso di questa alla richiesta di promuovere il procedimento arbitrale avanzata dalla sola parte privata si intende in ogni caso prestato, salvo che la pubblica amministrazione esprima il dissenso scritto entro trenta giorni dalla richiesta.
Il giudice dispone la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede il tribunale ovvero la corte di appello per la nomina di:
1) un collegio arbitrale: per le controversie di valore superiore ad euro 100.000
2) un arbitro: ove le parti lo decidano concordemente, per le controversie di valore inferiore ad euro 100.000
Il procedimento prosegue davanti agli arbitri. Restano fermi gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda giudiziale e il lodo ha gli stessi effetti della sentenza.
Gli arbitri sono individuati, concordemente dalle parti o dal presidente del Consiglio dell'ordine, tra gli avvocati iscritti da almeno cinque anni nell'albo dell'ordine circondariale che non hanno subito negli ultimi cinque anni condanne definitive comportanti la sospensione dall'albo e che, prima della trasmissione del fascicolo, hanno reso una dichiarazione di disponibilità al Consiglio stesso. Con decreto regolamentare del Ministro della giustizia, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, sono stabiliti i criteri per l'assegnazione degli arbitrati tra i quali, in particolare, le competenze professionali dell'arbitro, anche in relazione alle ragioni del contendere e alla materia oggetto della controversia, nonché' il principio della rotazione nell'assegnazione degli incarichi, prevedendo altresì sistemi di designazione automatica.
La funzione di consigliere dell'ordine e l'incarico arbitrale sono incompatibili. Tale incompatibilità si estende anche per i consiglieri uscenti per una intera consiliatura successiva alla conclusione del loro mandato.
Quando la trasmissione a norma del comma 2 è disposta in grado d'appello e il procedimento arbitrale non si conclude con la pronuncia del lodo entro centoventi giorni dall'accettazione della nomina del collegio arbitrale, il processo deve essere riassunto entro il termine perentorio dei successivi sessanta giorni. E' in facoltà degli arbitri, previo accordo tra le parti, richiedere che il termine per il deposito del lodo sia prorogato di ulteriori trenta giorni. Quando il processo è riassunto il lodo non può essere più pronunciato.